Giovanni Mario Alessandri d’Urbino, Il paragone della lingua toscana et castigliana



RETTA SCRITTURA E PRONUNTIA

 

A

 

Quando si pronuntia questa lettera a, subbito che s'aprono le labbra, si manda lo spirito tanto diritto al cielo, che facilmente si conosce l'huomo essere invitato da essa alle lodi del sommo Iddio et a riconoscere quello per donatore di tutte le gratie, et spetialmente per autore delle buone et delle honeste discipline. Onde, non senza ragione, gli hebrei volsero(1) esprimere la pronuntia di questa lettera non solo per vocale con punti, ma ancora per consonante con aleph, per dar ad intendere (per quanto io giudico) che si come questa espressione comprende et vocale et consonante, et per conseguente tutta la forza delle lettere, cosi Iddio sapientissimo contiene in se tutti i secreti et misteri delle scienze liberali, le quali da lui derivano, come da fonte vivo et inessicabile. Però meritamente si disse prima questa lettera col nome di aleph, che s'interpreta dottrina, poi che ogni dottrina è in Dio et da Dio si concede, il quale fra gli altri suoi nomi santissimi col nome ancora di aleph ha voluto esser chiamato. Non sarà dunque maraviglia se la natione italiana et castigliana essendo concordevole nel religiosissimo culto divino, nella ubbidienza della santa, ortodossa, catolica et romana chiesa et in ogni altra sorte di virtuose attioni, sia ancor conforme nella pronuntia di questa non mai apieno lodata lettera a, il che appare nelle voci che sono proprie a loro et a noi. Percioche, si come diciamo noi la a nelle nostre voci duca, tavola, serva, ardiva, ammoniva, chiamava, questa, qua, oltra, cosi da loro si pronuntia in labrança, sacàr, poblada, iamàs, aquella, para, acà, et nelle communi a loro et a noi come Roma, historia, cantava, amava et altre simili.

Posta per se sola questa lettera a può esser particella et segno del terzo caso, come si dirà appresso, et cio aviene seguendo la voce che comincia da consonante, così a coloro è massimamente richiesto(2), a colui piacque, diede legge a tutte le cose(3), mi ha conceduto il poter attendere a lor piaceri(4), et può essere ancora prepositione del quarto caso o preposta allo infinito in luogo di gerondio, come infino a questo tempo(6), grandissima fatica a sofferire(7), da giusta ira di Dio a nostra corretione mandata(8), non so s'egli è(9) venuto a veder voi. Alcuni vogliono che questa a cosi posta non sia mai prepositione, ma sempre segno di caso, et per che questa sarebbe vana disputatione bastami haver accennata la opinione mia.

Ma quando segue la voce che comincia per vocale, alla a s'aggiunge la d et si fa ad, come il mio amore oltre ad ogn'altro fervente(10), senza lasciarsi raccontare ad alcuno, quello che ad un nostro(11) cittadino avenisse(12), li quali invitati ad udire una bellissima musica, che ad usura havesse prestato(13), piacque ad Alessandro(14), io non son forte ad aspettar la luce(15). Et so bene che si truova la a dinanzi alla vocale ancora cosi, venendo in terra a illuminar le carte(16), suoi lamenti a udire(17), ma s'ha da fuggire questo uso quanto si può per esser di troppa licentia. Alcuni dicono la d aggiungersi alla a quando segue voce che comincia da a, come ad amar voi, ad animarve, et con altre vocali usarsi a senza d, cosi a ogn'huomo, a udire, ma la prima regola truovo piu usata et mi par piu vera.

Non hanno castigliani tal diversità, anzi seguendo qualsivoglia dittione con principio o di vocale o di consonante sempre usano la a sola senza d per segno di terzo caso o per prepositione del quarto caso et dello infinito, cosi me dezis señor que os embie a quella palabra que a su magestad prediquè(18), venid a mi todos los que estays(19) cargados(20), vi a Moab cargada a Arabia cargada(21), de creer es que os saldrà a abraçàr, te partas a buscar tu caro padre(22), qual dios vino a enseñarte(23), Telemaco tan bien subiò a un aposiento muy rico(24). Molte voci hanno da noi la terminatione in a, acqua, benevolentia, rompeva, quella, cotesta, di qua, qua, là et parimente da loro, abortadura, açada, acometia, para, acà, ea.

 

B

 

La forza istessa che ha la b appresso di noi in queste voci, bello, labirinto, febo, globo, superbo, habile, benche, abuso, buono, bianco et in altre di questa maniera, ritiene ancora appresso castigliani in bueno, loable, setiembre, hablàr, blando, batalla, cabildo, desabrido et in altre somiglianti. Et questa è regola generale dalla quale sene cavano alcune voci castigliane dove la b si pronuntia per v o vero almeno in un certo modo che partecipa di b et di v, cio è di quella maniera che io ho uditi molti valenti huomini di greca natione pronuntiare la ß greca o vero come da dottissimi hebrei mi è stata in Italia insegnata la pronuntia della נ hebrea quando è senza daghès(26), la qual pronuntia non hanno toscani nelle sue voci, et cio aviene in queste dittioni, bolvèr, sabèr, recebìr, obra, trabajo, mancebo, cabeça, acabàr, cabello, bolàr, bermejo, alabàr, ribera, abezàr, abuela, abeja et in altre simili. Queste voci dubda, dubdàr, cobdicia et cobdicioso truovo scriversi con b et senza b, ma in qualunque modo si scrivano, mi par di veder che castigliani le proferiscano di maniera che la b o niente o poco vi si sente(27). Truovo ancora altre voci castigliane diversamente scriversi hora con b hora con v, il che non procede da altro che dalla conformità o ver'affinità che è fra la b et la v, come boto, voto, barba, barva, bivir, vivir, gobierno, govierno.

Si raddoppia la b da toscani in molte voci et composte et semplici, come abbagliare, abbadessa, abbarbagliare, abbracciare, abbracciamenti, abbrusciare, rabbattere, rabbuffare, abbellire, abbandonare, abbattere dubbio, subbito, rabbia, gabbia, sabbato et nelle ultime sillabe de tempi passati perfetti del dimostrativo di alcune voci et de tempi passati imperfetti del desiderativo o del soggiuntivo, come conobbi, conobbe, hebbi, hebbe, canterebbe, vederebbe, leggerebbe, udirebbe et infinite altre. Semplice ritruovo la b nelle voci castigliane cosi nelle composte come in tutte l'altre, abonàr, abàtir, abatimiento, abaxo, abaxàr, abaxmiento, abreviàr, abrevàr, abotonàr, abrasàr, abraçàr, sabado.

Componendosi alcuna voce toscana che cominci per u et per s con la prepositione sub et ob, si gitta la b, onde da obscurare, obscurus, obviare, subvenire voci latine si fanno oscurare, oscuro, oviare, sovenire voci toscane, et da substantia et substituere(28) si formano sostanza et sostituire(29). Ho visto in simili compositioni i castigliani il piu delle volte ritener la b come obscuràr, obscuro, substancia(30), subjeto. Gittano toscani et castigliani la b della prepositione sub seguendo voce che comincia per i, come appresso quelli, soggiogare et soggiungere, et appresso questi, sojuzgàr, dove si vede la b mutata in g et gittata(31) in tutto. Ne dall'una ne dall'altra lingua si terminano le sue voci in b eccetto alcune barbare, Acab, Raab, Giob, Iob, Belzebub et somiglianti. Dicono castigliani Iacob et noi Giacob et Iacob, parlandosi del patriarca antico, ma parlandosi o scrivendosi dello apostolo et di quelli c'hanno hoggi questo nome diciamo noi Giacobo et Iacobo, et essi Santiago per lo apostolo et Diego et Santiago per nomi proprij moderni.

 

C

 

Con le consonanti et con queste vocali, a, o, u, la c ritiene egual forza nelle voci toscane et castigliane quanto spetta ad essa lettera semplicemente scritta, come si conosce in queste nostre, caldo, manca, cortigiano, ancora, incude, cupido, clodio, crudele, credere, tocca, ricco, et in queste castigliane, cabe, cansàr, nunca, comèr, cogolmado, loco, culpa, cuyo, clavo, cruèl, acudir, acreedòr, et altri di questa maniera. Dissi di sopra quanto spetta ad essa lettera semplicemente scritta, per che alla c nelle voci castigliane alcuna volta s'aggiunge di sotto una virgola, detta zeriglia, la quale è come un'apostrofo di questa maniera ç, et alhora la detta ç con tal virgola serve et si pronuntia come la nostra z quando ha gagliardo spirito, onde la forza che ha la nostra z in queste voci, senza, confidenza, piacenza, forza, testimonianza, marzo, scherzo, sforzo, canzone, zuccaro, tristanzuolo; si possede dalla ç, castigliana in Çamorra(32), Çaragoça, Çunica, fuerça, esperança, alcançàr, començar, braço, lança, criança cabeça, çumo, moço, coraçon, escaramuça, privança, ordenança, beço, baço, açada, açafràn, açacan, boço, braçada, caça, olvidança(33) et altri simili.

Ma per che ne' sopradetti essempi non s'è posta la ç con la zeriglia se no(34) dinanzi alle vocali a, o, u, s'ha da notare che la c posta dinanzi alle vocali e et i o c'habbia di sotto la zeriglia o nò sempre si pronuntia come s'è detto della ç con la zeriglia, et per quanto io vedo nelle buone impressioni, mi pare che dinanzi a queste lettere e et i non si soglia porre sotto la c zeriglia alcuna ne io ve la pongo mai come cosa non necessaria, accorgendomi che in simil caso non solamente nelle voci castigliane, ma nelle latine ancora pronuntiano la c senza zeriglia come se havesse la istessa zeriglia, il che si costuma da' nostri lombardi ancora come adunque pronuntiamo noi la z dinanzi e et i in speranze, danze, perdonanze, zecca, penitenze, zingari, forzieri, anzi, dianzi, spezzi, cosi pronunciano quelli la c dinanzi e et i in acerca, licencia cercar, cerimonie, nacèr, parecèr, conocèr, prudencia, iusticia(35), silencio, ciudad, cidral, civilidad et in altri di questa maniera.

Alcune voci castigliane si truovano(36) scritte per sce et per ce, per, sci et ci, come conoscèr, conocèr, padescèr, padecèr, ofrescer, ofrecer, merescer, merecer, encaresciò, encareciò, nascido, nacido, entristesciò, entristeciò et molte altre, dove per una ragione sarà forsi meglio il ponervi la s che torla via, per che nella prima voce del dimostrativo de' verbi simili alli precedenti si pone la z dinanzi alla c et in molte altre voci ancora delli medesimi verbi, come conozco(38), padezco, ofrezco, merezco, envejezco, la qual z ha parso forsi ad alcuni convertire in s nello infinito et in altri luoghi et questo perche non sarebbe buon suono se si ponesse la z dinanzi alla c aquesto modo, fenezcer, aborrezciò, dove la c ha quasi forza(39) di z, ma se per altra ragione vogliamo poi considerare che l'huomo naturalmente prima sa et pronuntia l'infinito, che altra voce del verbo et che per ventura, prima s'è saputo dire padecèr, enternecèr et gli altri(41), che padezco, enternezco et simili, forsi ci risolveremo a credere che si possa et si debba scrivere questa sorte di voci senza s, gittandosi in tutto la z et non convertendola in altra lettera, come facciamo noi dicendo ardire, ardì, fornire, fornì, ordire, ordì, dicendosi nel dimostrativo ardisco, fornisco, ordisco, eccetto che non si dicesse doversi ritenere in cio la s, et come facciamo noi in pascere, crescere, nascere, cresciuto et pasciuto da pasco, cresco, nasco, cosi possa dirsi da castigliani nascèr, nasciò, nascido, piu presto che nacèr, naciò, nacido et somiglianti. Non ardirò già io nell'altrui lingua dar sentenza qual de due modi s'habbia da seguire, solamente dirò che ancorche la s vi si scriva, si pronuntia di maniera che pare una medesima cosa con la c con ispirito, però alquanto piu grosso. Ne per cio la c dinanzi e et i perde la forza detta di sopra. Molte voci toscane hanno la t dinanzi la i seguendo altra vocale, la qual t si pronuntia come z, ma castigliani non hanno mai la t di tal ispressione in alcun luogo, eccetto quando altra consonante precede la t, come lection, dove sogliono ancor tolta la t, dir lecion. Dunque in ogni voce dove noi usiamo la t dinanzi la i con ispressione di z, usano essi castigliani la c, però egualmente da noi si proferisce la t in sententia, patientia, gratia, condutione, gratioso, solstitio, occupatione, prudentia, assolutione, Valentia, intentione, providentia, sententij, sententie, essercitij et in mille altre, molte delle quali si terminano ancora in za, come sentenza, prudenza, benevolenza ignoranza, et da quelli la c in gracia, obligaciòn, sentencia, prudencia(46), paciencia, sentencie, oraciòn, iusticia, deliberaciòn, constancia, valencia, composiciòn, determinaciòn(47), ne alcune di queste si convertono in ça ne si dicono prudenza, sentença, magnificença ne altri simili fra castigliani.

A queste sillabe cha, che, chi, cho, chu, danno castigliani molto, anzi in tutto, diversa pronuntia da quella che diamo noi, ma perche della nostra attorno queste sillabe dirò nella lettera q, trattarò qui solamente del modo con che si pronuntiano da castigliani, i quali non altrimenti esprimono cha, che, chi, cho, chu, che noi cia, ce, ci cio, ciu, quando cosi d'una sillaba facciamo cia, cio, ciu, come ce, ci, purche alle sillabe cia, ce, ci, cio, cio non preceda la s, come in sciagura, pascere, disciplina, sciogliere, asciutto, per che alhora vi bisogna altra regola della quale si vederà nella lettera x; come adunque pronuntiamo noi cia, ce, ci, cio, ciu con le consonanti premesse in baciare, comincia, ciascuno, caccia, acciaio, macero, fece, cento, pace, prencipe, cibo, acino, faci, bacio, comincio, fanciulla, cosi castigliani pronuntiano le sue cha, che, chi, cho, chu, in achaque, minchaca, aprovechar, hechar, flecha, acha, trucha, lucha, chanchilleria, leche, heche, chinela, hechizero, hinchir, empacho, provecho, cohecho, macho, derecho, borracho, dicho, dichoso, chupàr et in mille altre voci di questa maniera.

Si eccettuano da questa regola i nomi antichi hebrei et greci nelli quali cha, che, chi, cho, chu si pronuntiano da castigliani come da latini et da noi et come χα, χε, χι, χο, χου da greci, il che si vede chiaro in queste voci, chaldeo, Chanaam, chamaleon, Chaonia, chaos, Charon, cherubin, Cherroneso, chilo, Chios, Achilles, Chimera, choro, Chordolaomor, Chus, Chusi.

Dinanzi alle sudette sillabe castigliane cha, che, chi, cho, chu che si pronuntiano come le dette nostre cia, ce, ci, cio, ciu non si pone mai unaltra c come poniamo(50) noi in molte voci dinanzi cia, ce, ci, cio, ciu, come faccia, avacciare, piaccia, allaccia, scaccia, uccello, acceso, trecce, lacci, hacci, dacci, picciolo, acciò, impaccio, lacciuoli, è ben vero che le sillabe loro cha, che, chi, cho, chu dopo le vocali hanno alle volte gran forza et equale alle nostre cia, ce, ci, ciu, precedendo la c come Baracho(52), cohecho, dicho, mochacho.

Si fanno molte voci toscane dalle latine c'hanno ct con la conversione(53) della c in t et si scrivono con due tt aquesto modo, subiectus, soggetto, affectus, affetto, factus, fatto, pactum, patto, doctor, dottore, electus, eletto, tractat, tratta, lactis, del latte, pectus, petto, coctus, cotto, tectum, tetto, fructus, frutto, frictum, fritto, secta, setta, il che s'intende dove non concorrano altre consonanti dinanzi, per che essendo altra consonante dinanzi alla c, non si muta la c in t, ma si gitta in tutto, ch'altrimente il toscano s'offenderebbe del brutto suono che ne riuscirebbe, onde tal dittione si scriverà con semplice t, così sanctus, santo, unctus, unto, punctus, punto, extinctus, estinto, tinctus, tinto planctus, pianto, cinctus, cinto. Questa voce autore da molti si scrive con semplice t et da altri con th, il che poco importa per non esser certa opinione come in latino s'habbia da scrivere, potendo haver derivatione dal greco ancora. Ritengono volentieri castigliani la c in compagnia della t in simili dittioni, come sancto, auctòr, auctoridàd, pacto, doctòr, doctrina, secta, rectitùd, tracta, respecto, rectòr, et cosi ancora da molti si pronuntiano, altri le scrivono et le pronuntiano con una t sola senza c, cosi pato, dotòr, autoridàd, fruto, effeto, et con due tt ne ho trovate scritte alcune come sujetto, efetto, ma per quanto mi posso accorgere per la commune espressione di queste voci et d'infinite altre simili, veggio che non pronuntiano mai le due tt con quella forza che facciamo noi, anzi pare che le dicano di maniera ch'alla sola pronuntia nessuno mai possa giudicare esservi se non una t sola. La sillaba chi, la quale spesse volte si truova usata da toscani nelle sue voci, si converte assai volte in cl delle dittioni castigliane, così schiavo, esclavo, chiaro, claro, chiovo, clavo, chierico clerigo, chiocchia, clueca, chiaramente, claramente.

Molte voci non composte che vengono dal latino con due cc, con altrettante si scrivono et si pronuntiano da toscani, come siccus, secco, flaccus, fiacco, bucca, bocca, peccatum, peccato, vacca, vacca, et altri daltra maniera, come tocca, ricco, le quali mi pare che da castigliani si scrivano et s'esprimano con c semplice, cosi seco, flaco, boca, rico, alcune che ne scrivono alle volte con due cc, come peccàr, peccado, non m'accorgo che siano pronuntiate altrimente che con una c sola, peroche non danno loro quella vehementia che diamo noi alle voci toscane che con due cc si scrivono. Il medesimo avviene nelle voci composte con la prepositione ad et sub nelle(54) quali si muta la b et d in c, et cosi usano toscani scriverle et proferirle con due cc, come accidenti, accompagnare, accogliere, accostare, raccordare, accrescere, accommiatare, accendere, accorgersi, acconciamente, accommandare, soccorrere, succedere, il qual uso non hanno castigliani, i quali proferiscono le sue voci composte con una c, acompañàr, acogèr, acordàr, acrecentàr, acendèr, socorrèr, ne importa che ne scrivano alle volte alcuna con due c, come accasàr, accusado, per che la prolatione di loro è con una c sola et senza vehementia alcuna.

Non hanno castigliani la c dinanzi la q come noi che diciàmo acqua, tacque, nacque, giacque, piacque, acquisto, in luogo delle quali dicono agua, callò, yaziò, plugo, alcançò.

Queste sillabe chia, chie, chi, chio, chiu, oltre a quella pronuntia della quale si dirà nella lettera q, ne hanno unaltra tanto diversa in molte voci toscane, che non so in qual lingua io mi possa trovar sillabe c'habbiano la medesima espressione, eccetto nella greca, la qual cosi proferisce καί, χε, χοι, χι, per quanto m'è stato(55) insegnato il proferirle da greci naturali et dottissimi. Et questa pronuntia non solamente è più acuta(56) della nostra sillaba ci, ma ancora della χι greca et più s'avicina alla prolatione della χι greca che alla nostra ci, et per che è difficile l'intenderla col libro solo aggiungerò che per pronuntiar bene dette sillabe, la lingua s'ha da stender tutta per la maggior parte dinanzi del palato con molta forza et si possono proferire con la bocca aperta, et le voci dove si truovano sono queste, chiaro, chiamo, chiave, macchia, vecchia, apparecchia, chiarenza, chiedo(57), vecchie, secchie, richiesto, chiesa, vecchi, orecchi, occhi, parecchi, maschio, vecchio, chiovo, chioma, chiostro, soverchio, arrischio, chiudo et altre molte alla cui similitudine non ne truovo veruna fra le voci castigliane.

Il terminare le voci in questa lettera c non s'usa ne da toscani ne da castigliani, eccetto alcune straniere Abacuc Nabuc, Osbec et somiglianti.

 

 

D

Non conosco differenza alcuna attorno la pronuntia della lettera d la qual ha la medesima forza nelle nostre voci, dormire, dente, dito et altre simili, et nelle castigliane dormìr, diente, dedo et tutte l'altre. Et come è(58) frequente appresso di noi il terminare molte delle nostre voci in to, cosi è proprio a castigliani il terminarle in do, il che si fa con la mutatione della t in d, come creduto, creydo, vinto, vencido, delicato, delicado, udito, oydo, potuto, podido, et cosi quasi tutti i partecipij in to et in do a questo modo. Et dove noi in tore finiamo(59) molti nomi verbali, riguardatore, banditore et altri, et in dore, servidore, amadore, imperadore, da quelli si terminano quasi tutti in dòr, mutandosi la t in d, come servidòr, emperador, oydòr, vencedòr, traydòr, acusadòr, sene truovano però alcuni in tòr, tutor, autòr, escriptòr.

Et altri nomi verbali della femina, che noi terminiamo in trice, come imperatrice, consolatrice, inventrice, perditrice, saltatrice, finiscono appresso di loro in dora, come servidora, acusadora, da alcuni in fuori terminati in triz, nutriz, emperatriz et altri di simil sorte.

Si raddoppia la d in molte voci toscane composte da ad et da voci comincianti per d, come addurre, additare, addormirsi, addormentarsi, addolcire, il che non osservano castigliani, i quali scrivono le sue voci per semplice d, come adormirse, adormecido. Se questa prepositione ad s'aggiunge ad altre voci che cominciano per altra lettera che per d, si muta la d da toscani nella prima consonante della voce seguente, come amministrare, ammirabile, affirmare, affrontare, aggradire, allargare, ammonire, appellatione, apparato, arrossire, attento et infinite altre. Et quando la voce seguente comincia per i et per u consonanti, alhora si gitta la d, come aiutare avisare, avocato, benche vogliano alcuni che si possa ancor dire avvisare et avvocato et altri simili(60) per due vv. Diverso in cio è l'uso de castigliani, i quali in simili compositioni sogliono gittare in tutto la d della prepositione ad, come acareàr, acompañar, acordàr, delle quali dissi di sopra, adevinàr, adelgazàr, adelantàr, afilàr, afirmàr, afloxàr, agradecèr, alargàr, alimpiàr, amonestàr, apercebìr, apetecèr, atemorizàr, atentàr, ne gittano la d seguendo la v, onde dicono adverso et adversario, ma seguendo la r et la s si muta la d di ad in esse r et s, come arraygàr, arrancàr, arrossàr, arrebatàr, arrimàr, arrodillàr, assaetàr, assentàr, assuelto, queste voci ultime, benche le scrivano con due ss, non odo pronuntiarsi altrimenti che per una s come ancora assai volte le ritruovo scritte. Et in effetto ho osservato i castigliani non essere amici di scrivere over almeno di pronuntiare le lettere doppie, eccetto la r quale proferiscono con molta forza et autorità. Ritengono la d in administraciòn, administràr, admirable, admitìr contra il nostro costume, il quale non tiene la d in compositione di prepositione ad, se non con voci che cominciano da vocale, come adattare(61), adempire, adirarsi, adottare, adulterare, nel qual modo essi castigliani ancora ritengono la d come adornamiento, adoracion, adultero.

Quanto da noi si fugge il terminar le nostre voci in d, tanto è in un uso fra castigliani et particolarmente in quelle nostre voci che hanno l'accento sopra l'ultima vocale, come virtù, gioventù, humiltà, soavità, età, verità, carità, autorità, benignità, bontà, quantità, dignità, egualità, inegualità(62), natività et altre, le quali da castigliani si dicono virtùd, iuventùd, humildàd, suavidàd, mortalidàd, maldàd, humanidàd, habilidàd, heredàd, edàd(63), verdàd, charidàd, auctoridàd, benignidàd, bondàd, quantidàd, dignidàd, yguldàd(64), desygualdad, navidàd, tutte con l'accento in ultima come le nostre. Alcune ancora delle nostre terminate in tudine, come moltitudine gratitudime, ingratitudine sollecitudine et altre, si terminano da castigliani parimente in tùd, come moltitùd, gratitùd, solicitùd, delle quali ne terminano ancora in bre, come muchedumbre, mansedumbre.

 

E

Con aperto suono si pronuntia da toscani(65) alle volte la lettera e, come in desto, destro, denti, perdita, vento, se per sei verbo, et alle volte con ispirito piu serrato et piu oscuro, come in legge, seggia, vede, crede, intende. Con aperto suono la proferiscono castigliani ancora in espiritu, espada, escucha, et con suono un poco oscuro in lee, cree, vee, sabe, gli altri essempi, che sono infiniti, ciascun potrà in amendue le lingue per se ritrovare. Ecco adunque come s'accordano nella pronuntia di questa lettera toscani(66) et castigliani, la qual lettera da noi si muta alle volte in i, estimare, istimare, esperienza, isperianza, et cio dinanzi alla s seguendo altra consonante. Alle volte si muta la i in e, come battesimo, battezare, lecito, castigliani hanno in uso d'aggiungere la e dove non è naturalmente appresso di noi et cio dinanzi alle nostre voci che cominciano per s seguendo altra consonante, come spagnolo, español, studio, estudio, stretto, estrecho, sperare, esperàr, specchio, espejo, stendere, estendèr, scudo, escudo, scaldare, escalentàr, scala, escala, schernire, escarnecèr, scarso, escasso, scrittura, escriptura, spirito, espiritu; ritruovo bene alcuna volta che visi toglie la e, come spañol, spada, spiritu(67) et altri simili, et massimamente in versi con(68) l'apostrofo precedente, non dimeno l'uso generale è d'aggiungervi la e nel modo c'ho detto anzi, l'hanno tanto per proprio che molti pronuntiando simili voci latine v'aggiungono la e come estabat, escabellum per stabat, scabellum, il che quantunque sia solo nel proferire et non nello scrivere, niente dimeno essorterei ciascuno che cosi pronuntia le voci latine a lasciar questo abuso, poi che il candore delle lettere latine non ammette tal aggiunta ne qui ne altrove non vi essendo regolarmente. Mutano i castigliani la i di molte nostre voci in e delle loro, come in, en, il, e, intra, entre, nobiltà, nobleza, invidia, embidia. Nelle compostioni de' nostri verbi ci serviamo assai della i in queste particelle di, dis, ri, et della a in ra, come dimandare, divoto, divotione, dispetto, distratto, disposto, dinota, diviso, divolgare, diletto, dilungare, diffusamente, difendere, dilenguare, diffidarsi, difalcare, diminuire, dipingere, diritto, disagio, discredo, discolpo, disparo, dissigillare, disgratia, dispiacere, distillare, diverso, divinare, ricevere, ridurre, ribello, richiamare, ricogliere, rimanere, riguardare, rimproverare, rimboscare, riscuotere, riprendere, raddolcire, racchiuso, raccontare, rammemoratione, racconsolare, ragguardamento, racquistare, rabbracciare, le quali voci che hanno ra tanto vagliono quanto ria, onde dicesi raddoppiare in luogo di riaddoppiare et cosi le altre. Usano castigliani molto frequentemente la e in simili voci, come defensiòn, degolladura, demandàr, demediàr, deleyto, derramàr, derretìr, derrivár, desacordàr, desafio, desabotonàr, desabituarse, desabezàr, desatapàr, descalabràr, descompadràr, deshechàr, desherràr, deslenguado, desobedecèr, desnudo, desorden, remoçàr, retrahimiento, retronàr retenir, reverencia, replandòr, requerìr, reprehensiòn, retardàr, repostero, repartimiento, remembrarse, reposo, retardàr, recatàr, et questo è l'uso generale nel quale sono alcune eccettioni, come appresso toscani, restituire, deviare, deliberare et appresso castigliani, differencia, digerir, dilaciòn, difiniciòn disputacion et altre, quali vengono quasi tutte dal latino. Si terminano in e molte voci toscane, conte, dote, prudente, corre, quelle, bene, male et molte altresi delle castigliane, catorze, suerte, haze, este, allende, de, secretamente, he.

 

F

Diversità alcuna non(70) truovo attorno questa lettera f in amendue le lingue, come si può raccogliere da queste voci toscane fare, fermo, confermare, confortare, furto, dove, et in altre simili, si proferisce la f come nelle castigliane falta, feo, fiança, fontanàl, fuego. Questa lettera spesso si raddoppia nelle nostre voci, come affrettare, afferrare, affermare, affettuosamente, affetto, affogare, affanno, affaticare, effetto, officio, offendere, sofferire, offensione, raffigurare, difficile, offerta, afflittione, del qual uso non mi paiono molto osservatori castigliani ne con lo scrivere ne col proferire, peroche dicono dificil, oficio, ofrecèr, ofensiòn, afirmàr afrentàr(72), afilàr, et ancor che alle volte habbia visto simili dittioni scriversi per due ff, non dimeno nella pronuntia non ne sento se non una, et quando s'usasse in questo caso con due ff, et la scrittura et la pronuntia, non sarebbe se non con molta ragione. Il servirsi di ph in luogo di f è proprio delle voci che vengono a noi dal greco et non delle voci propriamente toscane, come Papho, Philippo, Sapho, Tiphi, Pasiphae, philosopho. Non mancano, però, huomini di bonissimo giuditio, li quali non vogliono ne queste ne altre voci scriversi per ph, la qual opinione molto mi piace ne osta che vengano dal greco, per che come si muta la declinatione, cosi può mutarsi ancora la scrittura et tanto piu che, se da greci si scrive per φ che importa ph, è perche quelli non hanno altra lettera che faccia il medesimo effetto, onde tenendo noi la f propria in questa pronuntia ci possiamo servire di essa f lasciando ph da parte. Et cosi potremo con f senza peccato scrivere filosofo, Pasifae, Filippo et altre voci, come so che si fa da persone di rara dottrina ne io scriverò mai altrimenti. La medesima ragione haveria da prevalere con le voci castigliane ancora, niente dimeno vedo quasi tutti accordarsi ad usare in ciò la ph, come Phebo, Phoroneo, Ioseph, Phocas, philosopho, Xenophon et altri. In f non truovo terminarsi alcuna voce ne toscana ne castigliana.

 

G

 

Considerata per se questa lettera g, egual virtù ha nelle voci toscane et castigliane, perche cosi da noi si proferisce Gaeta, ingordo, augurio, come da castigliani Gaspar, govierno, Agustin. Solamente di nanzi la e et i si pronuntia la g da castigliani con un spirito un poco piu grosso et piu confuso che da noi di maniera che la lor pronuntia in queste due sillabe ge, gi si può dire esser meza fra la pronuntia che diamo noi a ge, gi et quella che diamo a sce, sci, come gente, mugèr, general, gesto, privilegio, giròn, ginete, girafa.

Si proferiscono da noi queste sillabe gua, gue, gui, guo di modo che vi si sente la u, et quanto a queste due gua, guo sono castigliani conformi a noi, per che cosi si sente la u in queste nostre voci guadagno, guatare, dileguare, guanto, guari, guarire, guasto, riguardo, seguo, come in queste castigliane guarnecèr, agua, aguadero, aguaducho, aguardàr, menguàr, menguo, aguo, benche alcuni dicono(74) antiguo senza esprimere la u.

In queste due sillabe gue, gui, ancor che noi facciamo sentir la u nello istesso modo che nelle sopradette gua, guo, come guida, guerra, perseguire, guercio, niente di meno non vi si sente quando è posta nelle voci castigliane, anzi quella pronuntia che da noi ricevono queste sillabe ghe, ghi, in ghermito, Ghevara, Gherardo, streghe, seghe, leghe, righe, negherò, ghirlanda, paghi, prieghi, laghi, ghita, pianghi et altre, la medesima ricevono da castigliani queste sillabe gue, gui, in guerra, guevara, pague, apegue plugue, anguilla, guitarra, guiar, pluguiste et molte altre.

Sono però pochissime voci castigliane nelle quali la u della sillaba gue si sente non come consonante della maniera che si sente in agua et altre simili, ma come vocale di quella maniera che si sente in puedo, suegra, cuerdo, et sono le dette voci verguenda, verguença, deguellan, aguero. Non truovo castigliani havere alcuna voce dove queste sillabe siano di strana pronuntia come habbiamo noi quasi simile aquella che dissi di sopra di chia, chie, chi, chio, chiu, ne vi è altra differenza se non che quelle dette di sopra nella lettera c hanno piu forza di queste, quanto le sillabe grece καί, κο, κοι, κι hanno piu forza di γε, γι alla acuta pronuntia delle quali γε, γι s'assimiglia quella di ghia, ghie, ghi, ghio, come ghiaccio, agghiaccio, ghiande, ghiotto, inghiottire, vegghi, vegghie, vegghio. Non s'usa da castigliani la g per proferire queste sillabe glia, glie, gli, glio, gliu di quella maniera che le pronuntiamo noi in maglia, figlie, gigli, scoglio, figliuolo, ma in lor vece s'usano due ll da essi castigliani, come si dirà trattandosi della l. Solamente si servono della g con l in quel modo che pronuntiamo noi gla, gle, gli, glo, glu in glauco, inglese, Anglia, gloria, conglutinare, alla cui similitudine dicono Aglaya, gleba, yglesia, Anglia, gloria siglo, gluten. Di queste sillabe gna, gne, gni, gno, gnu si dirà nella lettera n, dove mi verrà piu a proposito.

La lettera c di molte voci latine si muta in g alcuna volta nelle toscane et castigliane, ma piu ancora nelle castigliane, come locus, luogo, lugar, focus, fuogo huego o fuego, dico, dico, digo, amicus, amico, amigo, mecum, meco, comigo, tecum, teco, contigo, secum, seco, consigo. Quando nelle toscane voci due ll concorrono dinanzi alla vocale del fine della dittione, molte volte la prima l si muta in g seguendo voce che cominci per vocale et alcuna volta per consonante nel maggior numero, come quelli, belli, seguendo huomini, occhi, o altre simili dittioni, si potrà dire quegli huomini, begli occhi(75), frategli et nipoti, attendere a cavagli di che era usato(76), et ciò si fa per miglior suono, il che non accade alle voci castigliane, perche i loro numeri del piu nelli nomi non si terminano in vocale, come si dirà in suo luogo. Si raddoppia in compositione la g da toscani, come ragguagliare, aggiungere, aggirare, ragguardevole, aggravare, appareggiare, aggradire agghiacciare, oggetto, soggetto, soggiornare, soggiacere, sogghignare, soggiogare, et fuori di compositione ancora, peggio, vaneggio, oltraggio, seggio, raggio, pioggia, caggio, hoggi, poggio et molte altre; si muta ancora la sillaba tio delle voci latine in gio delle toscane, camgiata la t in g spesse volte, come palatium, palagio, pretium, pregio, ratio, ragione, servitium, servigio, et cosi la s in g, Blasius, Biagi, pensio, pigione, Perusia, Perugia, et assai volte s'aggiunge la g alla i, come Iuno, Giunone, Ioannes, Giovanni, iustus, giusto, Iacobus, Giacobo, benche si dica ancora Iacobo et Iacopo, iacere, giacere, iudeus, giudeo, Iesus, Gesu, Iupiter Giove, iuramentum, giuramento, iuvenis, giovane, Hieronymus, Girolamo, Ianus, Giano, iugum, giogo, iocus, giuogo, iam, già, Iulius, Giulio et infinite altre voci.

Niuna di queste regole osservano castigliani, per che tanto in compositione, come altrove, usano una g sola, come agradecèr, agradecimiento, agraviàr, tragàr, trago, trage ne mutano la t in g, per che da palatium fanno palacio, da pretium, precio, da ratio, razon ne mutano la s in g, anzi dicono Blasio, pensiòn, Perusia ne aggiungono la g alle voci latine che cominciano per i, anzi le cominciano per la medesima i dicendo Iuno, Iuàn, Iusto, Iudio, Iesu; è ben vero che la pronuntia loro in queste voci che cominciano per i è(78) quasi come la nostra con l'aggiunta della g, del che si ragionerà nella lettera i con laiuto divino. Non è voce ne toscana ne castigliana che si termini in g, se non straniera, Gog, Magog, Faleg.

 

H

È stata, et è, non picciola controversia fra toscani, se le voci toscane che vengono dal greco o dal latino s'habbiano da scrivere con aspiratione o nò, et per che non voglio spendere il tempo in raccontare diverse opinioni, dirò solamente che mi piace molto che l'aspiratione si ponga dove la necessità della pronuntia la richiede, come in poche, parche, pochi, tronchi, archi, perche dicendosi poce, parce, poci, tronci, arci, nel maggior numero la c haveria senza h molto diverso suono da quello che ha nel minore poca, parca, poco, tronco, arco. Per ornamento ancora è bene di porre l'aspiratione nel principio di molte voci che vengono dal latino, honore, huomo, hora, humido, humano, habito, habilità, hoggi, hieri, et per differentia ancora, come ho, verbo, a differentia di o, averbio di chiamare et disgiuntiva, overo ha, verbo, a differenza di a, particella del terzo caso et poi che il verbo havere vien dal latino habere, che ha l'aspiratione in principio, communemente da quelli che sanno si scrive con aspiratione in tutti i suoi tempi, ho, haveva, ho havuto, haveva havuto, haverò, habbi, haveria et cosi tutti gli altri(81), et perche nelle compositioni castigliane veggio scritto questo verbo hora con aspiratione hora senza, mi risolvo a credere che molto poco sappiano quelli che senza aspiratione lo scrivano, si per che viene da habeo latino, come per vedere i castigliani amicissimi di questa lettera h, ne credo che si possa biasimare lo scrivere cosi il verbo havèr castigliano, hè, hàs, hà, havia, huve, huviesse, huviera, haya et il resto de gli altri(82) tempi. Con aspiratione parimente si scriveranno l'altre voci castigliane in principio che vengono dal latino, hora, hay, hombre, humanidàd, habilidàd, honra, habito et altri molti. Si interpone ancora laspiratione fra la g et alcuna vocale seguente nel maggior numero delle voci toscane, accioche sia il suono conforme a quello del primo numero, strega, streghe, lago, laghi, vago, vaghi, come dissi di sopra dopo la c ne importa che amico faccia amici et altri di questa sorte, perche qui parlo della regola generale, come aviene a castigliani che per continuare il medesimo suono pongono la u fra la g et la vocale seguente, come pago, pague, plugo, plugue, apega, apegue, ruego, ruegue, della pronuntia delle quali sillabe fu detto di sopra a bastanza. In altri luoghi credo che toscani si contenteranno di non scrivere l'aspiratione, come in Tomaso, Gete, Mitridate, Teseo, Reno, Tessaglia, tesoro, ancorche alcuni contradicano, le quali tutte, et altre di questa maniera, mi pare che castigliani scrivano con aspiratione seguendo la ortografia latina. La l di(84) alcune voci latine si converte in hi delle toscane et resta immutabile nelle castigliane, come clavus, chiodo, clavo, clarus, chiaro, claro et altre. È proprijssimo a castigliani convertir la f delle voci latine et toscane in h, come è proprio a toscani il ritener la f delle medesime voci latine, come fico, higo, fegato, higado, ferro, hierro, febraio, hebrero, formoso, hermoso, feccia, hez, ferita, herida, ficcar, hinchar, fervore, hervòr, figlio, hijo, faccia, haz, fava, hava, fastidio, hastio, finqui, hasta aquì, falcone, halcòn, fare, hazèr, fatto, hecho, femina, hembra, fetore, hedòr, fuggire, huyr, forno, horno, fongo, hongo, foglia, hoja, falce, hoce, forca, horca, fumo, humo, furto, hurto, fuso, huso, filo, hilo et mill'altre nelle quali tutte la h ha gran spirito et gran forza, per che si pone in luogo di consonante(86). Non hanno voce alcuna propia toscani che si termini in h, se non la voce di riso ah tolta da latini, per che i nomi stranieri che castigliani terminano col fine aspirato, cosi Beth, Caath, Mechorath, Melchisedech, Suph, appresso toscani di giudicio, che fuggano quanto si può l'aspiratione, si terminano in questo modo senza h, Caat, Macorat, Suf, Melchisedec.

 

I

 

Quando la i è vocale tanto in principio quanto in fine della sillaba, egual pronuntia riceve da castigliani et da noi, onde egual virtù havrà in queste nostre voci, impeto, riso, vitio et in queste castigliane, dioses, peligro, librado, enfierno et altre. Ma quando la i è consonante, è gran diversità nella scrittura dell'una et dell'altra lingua, percioche essi castigliani non scrivono la i consonante in queste sillabe ia, ie, io, iu di quella maniera che le scriviamo noi in gennaio, febraio, migliaio, aio, paio, paia, muoio, muoia, aiuto, ma in luogo di questa i consonante, serbata la pronuntia nostra, scrivono la y greca in queste sillabe ya, ye, yo, yu, come suya, raya, rayàl, sayàl, oye, oyes, mayo, desmayo, ayuso, ayuntàr, ayuno, nelle quali, et in altre simili, si servono(88) della y greca per consonante. Non mancano, pero, alcuni i quali si servono della medesima i picciola per consonante ancora et quantunque altri dicesse in queste voci la y greca non esser sempre consonante, ma vocale ancora et sayo et suyo et simili esser voci di tre sillabe et non di due, non dimeno, lasciato il contendere da parte, non per questo resta che non si scriva da castigliani nel modo c'ho detto del che piu apieno ragionerò nella lettera y al suo luogo.

Hanno i castigliani unaltra j longa della quale in principio et in mezzo della voce se ne servono per consonante et si come non hanno mai la g in queste sillabe gia, gio, giu, cosi in lor vece dicono ja, jo, ju. Quella istessa prolatione adunque che noi diamo alle sillabe gia, gio, giu in Giacobo, Giovanni, Giunone, mangiare, prigione, giurare, cangia, ragione, giudeo, giardino, giostra, giuoco, la medesima danno castigliani alle sillabe ja, jo, ju, nelle quali la j longa vale quanto le nostre g et i in questa maniera, festejàr, enojo, trabajàr, viejo, judio, hoja, vermejo, juez, mojàr, escaravajo, jubòn, majadero, jornalero, justicia et simili. La sillaba ge che usiamo noi in genere, gente, geometria, ingegno, gesto et somiglianti hanno quelli ancora in gente, gesto, gentil, engendràr, mugèr, generàl, generalidàd, come dissi di sopra, ma usano ancora in luogo di ge la sillaba je con j longa della medesima pronuntia, vejez, recojer, escoje, trabaje. Ne mi maraviglio di questa scrittura cosi diversa per non sapervi io conoscere differenza alcuna quanto alla pronuntia, perche o che scrivano ge o je le proferiscono come dissi di sopra della g, con ispirito un poco confuso et grosso, col quale spirito, cosi alquanto confuso, pronuntiano ja, jo, ju dette di sopra, la qual pronuntia è meza fra le nostre gia, ge, gio, giu et scia, sce, sci, scio, sciu, delle quali ultime si dirà nella lettera s copiosamente. La medesima pronuntia danno alla sillaba gi, cioè meza fra la nostra gi et sci in ginete, giron, gigante et altre simili, nè truovo che si scriva mai jinete, jiron, jigante ne altre di questa maniera. Questa j longa c'ho detto haver castigliani et da loro usarsi nel modo inteso, l'habbiamo noi ancora, ma con la solita pronuntia nostra della i picciola. Quanto poi alla maniera di scriverla, si usa alcuna volta da toscani in fine della voce, cosi perdonj, manj, sanj, il che è arbitrario, cosi in fine di ciascuna parola che si termini in i, come in principio di verso et di prosa et di nome proprio.

Come dissi esser proprio a castigliani preporre la e alle voci castigliane che cominciano da s seguendo altra consonante, cosi è proprio a toscani il preporre loro la i, come sconcio, isconcio, stesso, istesso, del che si dirà a luogo opportuno(90). Si fanno molte voci castigliane interponendosi la i fra una consonante et la e seguente delle toscane, come terra, tierra, tempo, tiempo, essendo, siendo, bene, bien, sapesse, supiesse, sento, siento, intendo, entiendo, mercordi, miercoles, mele, mièl, metitura, miesse, membro, miembro, nebbia, niebla, neve(91), nieve, sempre, siempre, sette, siete, servo, siervo, serpe, sierpe, vento, viento, serra, sierra, il che accade molto nelle nostre voci in mento, abbattimento, abatimiento, incantamento, encantamiento, contentamento, contentamiento, intendimento, entendimiento, et cosi con la i scrivono et pronuntiano ancora le proprie voci loro, acabamiento, acatamiento, acostamiento, acercamiento, endurecimiento. Questa regola in molte voci non ha luogo, come servitor, servidòr, sentire, sentir, venire, venir, et generalmente s'esclude da tutti gli averbi in mente, i quali si scrivono da loro et da noi senza i dopo la m habilmente, habilemente, abondantemente, abondosamente, gravatamente, agraviadamente, separatamente, apartadamente, strettamente, estrechamente o apretadamente, artificiosamente, artificialmente, chiaramente, claramente, affannatamente, congoxosamente, duplicatamente o doppiamente, dobladamente, ascostamente, escondidamente, pietosamente, piadosamente. I nomi che vengono da latini in mentum non ricevono la i da toscani dopo la m, ma da castigliani alcuna volta si, alcuna volta no, come sarmiento, tormento, argumento, fundamento, testamento. In altre voci dove noi habbiamo la i fra b et l, da castigliani vi si toglie, come terribile, terrible, affabile, affable, soffribile, suffrible, variabile, variable, notabile, notable, intelligibile, intelligible, invisibile, invisible. Separata sillaba fa la i dalla seguente vocale nelle voci toscane in rima, ma non in mezo del verso et in fine delle chiuse over clausule di prose, pio, dio, sia, sij, gia, venia, zie, mie, et nelle castigliane, mio, mia, hastio, partia, venia, ungia. In molte voci toscane una sola sillaba si fa con la i et con la vocale seguente, avaccia, caccia, cio, accioche, fanciulla, triegua, piedi, riede, lieto, chiedo, piu, pianto, piango, piaga, piacere, piaggia, chiostro, fianco fiato, soffia, compiuto, mangiamo et facciamo, quando sono presenti del dimostrativo, ma in mangiamo, facciamo, presenti del soggiuntivo, la i è separata sillaba dalla a; questa unione della i con la vocale seguente è nelle voci castigliane ancora, come pie, piès, miedo, entendimiento, siente, mientras, tienda. Si terminano(95) in i molte delle nostre voci, come Napoli, Clori, mi, ti, si, così, sì et parimente delle castigliane, maravedì, mì, vì, aquì, assì et infinite altre.

 

L

Una sola l si pronuntia da castigliani et da noi senza diversità alcuna, come si vede nelle nostre voci libero, luogo, falso, feltro, lodare, luce, et nelle castigliane, libre, alabàr, lugàr, hablàr, loàr, lee, nelle quali, et in altre simili, la l egualmente si sente et si pronuntia. La differentia consiste nella prolatione di due ll congiunte, però che con piu forte spirito et con maggior vehementia proferiamo noi due ll unite che una sola aguisa de gli hebrei quando pronuntiano la sua ל con daghès, il che si sente in Apollo, stalla, palla, sollecito, capello, stilla, squille, sollevare, scintilla, volle, illuminare, allontanare, alleggerire, la qual pronuntia non s'accetta da castigliani, anzi in quel modo che appresso di noi si pronuntiano queste sillabe glia, glie, gli, glio, gliu, in paglia, foglia, maglia, figlia, moglie, accoglie, spoglie, foglie, scogli, intagli, travagli, ciglio, giglio, figliuolo et somiglianti, nello istesso modo si proferiscono da castigliani due ll in d'ellos, llamar, llegàr, hallàr, allende, allì, allà, ellos, ellas, allegàr, lloràr, llueve, llovèr, batalla, callàr, cavallero, gallina, hablilla, maravillar, martillàr, membrillo, millòr, millones, trillàr, vellaco, estrella; molte voci che vengono dal latino si scrivono da alcuni di loro con due ll, et da altri con una sola, benche per la maggior parte(97) scrivano con due ll, ma in qualunque modo si sia le pronuntiano di quella maniera che si proferisce una sola l et con ispirito senza vehementia, come illustrissimo, Apollonio, Apollo, tranquillo, excellente, Achilles, le quali sono proferite da loro come se fossero scritte, ilustrissimo, Apolonio, Apolo, tranquilo, excelente Achiles. Come è peculiare a toscani mutar la l delle voci latine in i delle toscane, cosi hanno per costume i castigliani di lasciarla immutabile nelle sue voci, come pluit, piove, llueve, flamma, fiamma, llama, placet, piace, plaze, clamare, chiamare, llamàr, planctus, pianto, llanto, plaga, piaga, llaga, plenus, pieno, lleno, plumbum, piombo, plomo, plicare, piegare, plegàr, planta, pianta, llanta, clavis, chiave, llave, planus, piano, llano, exemplum, essempio, exemplo, templum, tempio, templo, clarus, chiaro, claro, flos, fiore, flor, et molti altri a questa similitudine. Raddoppiasi questa lettera da toscani nelle voci composte, allacciare, allargare, allungare, rallegrare, allentare, alludere, allagare, allegerire, allontanate, sollazare, sollevare, il che non è in uso fra castigliani, i quali in queste compositioni non pongono piu che una l, alargàr, alongàr, alongamiento, alumbràr, alumbramiento, aliviàr, alegre, alegrarse, ne osta che mi si dica la l raddoppiarsi in allegàr, allanàr, sollamàr, per che questo non procede da la compositione, come ben conosce chi considera i suoi semplici llegàr, llano, llama, et la cagione di non raddoppiar la l in simili compositioni è per fuggire la diversità della pronuntia, percioche, per essempio, proferendosi la l in largo da castigliani di quella maniera che la pronuntiamo noi ancora per essere una l sola, se la raddoppiassero poi in allargar, sarebbe necessario mutar pronuntia secondo l'uso loro non havendo la ll doppia suono in alcun modo simile alla l semplice per la regola di sopra dimostrata.

La n et la r de' verbi toscani si muta alle volte in l, come per imponlomi, imponloti, imponlasi, tienlo, tienla, tienli, vederla, si può dire impollomi, impolloti, impollasi, tiello, tiella, tielli, vedella, cosi da castigliani ancora per passarla, contarla, proponerlo, mudarlo, dexarlo, escrevirla, dezirla, mirarla, mostrarlas, echarlas, quererlos, mandarle, mandarles si può ancora dire, come frequentemente si dice, contalla, proponello, mudallo, dexallo, escrevilla, dezilla, miralla, mostrallas, echallas, querellos, mandalle, mandalles. Si raddoppia ancora dopo 'l verbo toscano c'ha l'accento nell'ultima sillaba, come per lo dirò, la dà, li porrò, si può dire elegantemente dirollo, dalla, porrolli, il che non s'usa da castigliani, ch'io habbia sentito et visto. Pochissime voci toscane si terminano in l naturalmente, come il, del, al, col, sul, ma molte per accorciamento del maschio et della femina, nel minor numero spesse volte, e di rado(100) nel maggiore, come sol, vil, humil, april, gentil, le quali hanno il suo fine, sole, vile, humile, aprile, innumerabil quantità, crudel sentimento(101), spetial divotione(102), figliuol mio, picciol potere(103), qual si fosse il vero(104), gentil donna, sottil malitia(105), bel fante(106), dove è d'avertire che, dinanzi la s seguendo altra consonante, non si termina a questo tempo per accorciamento alcuna voce in l, onde non si dice bel spirito, il spirito, del spirito, il smarrito camino, il scampo breve, quel sfondorono, picciol spatio, nel spatio, del stato, nel scoglio, al scendere, nel scrivere, quel stesso, del scendere, al scampo, ma in lor vece s'ha da dire bello spirito, lo spirito, dello spirito, lo smarrito camino, lo scampo breve, quello sfondorono(107)(108), picciolo spatio, lo spatio, nello spatio, dello stato, nello scoglio, allo scendere, nello scrivere, quello stesso, dello scendere, allo scampo. Infinite voci castigliane in l regolarmente si terminano, come el, del, aquèl, quàl, laurèl, apostòl, bedèl, fàl, fòl, cordèl, mariscàl, coràl, reàl, naturàl, vìl, sotìl, sinzèl, españòl, torongèl, espirituàl, corporàl, portàl, animàl.

 

M

Uniforme è la pronuntia di questa lettera m a noi et a castigliani, come si vede in queste voci toscane molto, meglio maggior, mirto, emulo, et in queste castigliane mejor, muerto, miel, mientras, moler et simili, et come noi preponiamo la m dinanzi b, m, p, in queste voci, ombra, tomba, tamburo, gamba, commune, comprendere, compire et altre simili, cosi la prepongono essi nelle sue embargo, embutir, ambotàr, emmagrecèr, compadecèr, competidòr. Egualmente ancora si muta da noi la n in m nelle voci composte, come commettere, immortale, immaturo, comprendere, et da quelli in empoçoñar, empegàr, emmagrecer, compadecer, competidòr, ma la d appresso di noi si muta in m, amministrare, ammonire, ammaestrare, ammirabile, ammassare, et da quelli si ritiene la d in administràr, administraciòn, admitìr. Ne raddoppiano essi la m in alcun tempo de verbi come facciamo noi dicendo amammo, vincemmo, ne ancora per accorciamento raddoppiano la m come noi in aiutàrommi, tiemmi, pióvommi, conviemmi in vece di dire aiutaronomi, tienemi, piovonomi convienemi. Niuna voce ne toscana ne castigliana finisce regolarmente in m se non forestiera, come Adam, Salem. Per accorciamento dicono toscani, come possiam noi haver questi pensieri(109), che farem noi(110), che non habbiam noi(111), n'andrem sollazando(112), come hoggi havem fatto(113), noi ti darem tanto di questo palo(114), in cambio di dire possiamo, faremo, habbiamo, andremo, havemo, daremo.

 

N

Conforme alla nostra è la pronuntia de' castigliani attorno questa lettera n quando è semplicemente posta, come in queste nostre, nodo, nato, nipote, nido, cento, conto, punta, et in queste castigliane, conocido, necedàd, ninguno, nombre cantidàd, entregàr botòn et mille altre. Quando poi due nn si pongono congiunte, si pronuntiano da toscani con i medesimi istromenti naturali con i quali si pronuntia una sola n ne altra differentia vi è, se non che maggior vehementia diamo alla prolatione di due nn che di una sola, et di quella maniera che si proferisce la נּ hebrea con daghès, il che si comprende in panno, penna, Vanni, panno(115), il qual costume non è de' castigliani, perche, come noi proferiamo queste sillabe gna, gne, gni, gno, gnu in Spagna, regna, segna, degne, compagne, vigne, impegni stagni, lagni, ragno, legno, sogno, ragnuoli, cagnuoli, similmente si proferiscono da loro con due nn, nna, nne, nni, nno, nnu in Espanna, ninnez, rennir, sennòr, pennula, benche ne a stampa ne a penna s'usa di porre due nn in questa prolatione congiunte, ma si pone un n sola con una virgola o titolo o punto di sopra, detto da castigliani tilde, la qual virgola sta in luogo di unaltra n, di sorte che la tilde insieme con n si proferiscono come ho detto per gna, gne, gni, gno, gnu, cosi España, niñez, reñir, señor, peñula, engaño, Cerdeña, araña, señorio, viña, soñar, enseñar. Non niego che castigliani non habbiano(116) nelle voci loro queste sillabe gna, gni, gno come noi, ma sono nelle voci che vengono dal latino, come benigna, benignidàd, benigno, digna, digno, dignidàd, magnifico, magno, dignamente, ma in effetto con la pronuntia, quasi tutti, poco o niente, vi esprimono la g. Si raddoppia questa lettera da toscani in voci composte, come annoverare, annegare, annodare et altre, il che non truovo nelle voci castigliane. Si muta la n in r da toscani et da castigliani, come irregolare, irregulàr, corrompere, corrompèr, correspondere, correspondèr. Illicito dicono toscani per due ll nella scrittura et nella pronuntia mutando la n in l, castigliani la scrivono per due ll, ma la pronuntia loro è per una l sola, perche pronuntiandosi da loro per due ll, non restarebbe il suono d'una semplice l per la ragione detta nella lettera l. La n, che si toglie da toscani ad alcune voci, perche tre consonanti(117) insieme fan dura pronuntia, come costretto, costituire, circospetto, circostantia, circostante, si ritiene da castigliani sempre, constreñido, circunstancia et altre. La m di queste voci latine, somnus, scamnum, si muta in n nelle toscane et castigliane, sonno, scanno, sueño, escaño, restando in ciò la sua pronuntia a ciascuna lingua secondo il modo detto di sopra. I castigliani delle sue voci terminate in n hanno grandissimo numero cosi nelli nomi come nelli verbi, de' quali si potrà veder a suo luogo, et in altre parti ancora del parlare, et particolarmente i nomi toscani terminanti in one si fanno castigliani col finirsi in on(118), sospitione, suspiciòn, divotione, devociòn, simulatione, simulaciòn, ragione, razòn, Scipione, Scipiòn, dispositione, dispusiciòn, inventione, invenciòn, adorazione, adoraciòn, passione, passiòn, pellegrinatione, peregrinaciòn, presuntione, presunciòn, rinovatione, renovaciòn, tentatione, tentaciòn et altre. Per accorciamento si terminano in n molte voci toscane tolta l'ultima vocale, posson, credevan, pensassen, padron, canzon, pelegrin, san per santo, gran per grande, et nel numero del meno ciò aviene spesso nelli nomi et rade volte in quello del più, come altri in contraria opinion tratti(119), non potean fare(120), per le cagion di sopra mostrate, senza niun fallo(121), andaron per questo campo, non lasciarei di cristian farmi(122), il senno di consolation sia cagione(123), la sua divotion conmendata(124). I nomi della femina non hanno questo accorciamento nè pérdono la vocale a dopo la n, onde non si dice van, stran per vana, strana.

 

O

Con suono aperto si proferisce la o in opere, sciogliere, posta et con suono chiuso, in ombra, soldato, Tomaso, Cimello; non truovo tanta differentia nelle voci castigliane, anzi mi pare che quasi in tutte la o si proferisca con suono stretto et, come la pronuntiamo noi in potere, sano, credo, mano, la proferiscono quelli in sospechoso, soldado, leo, creo, mejor et in altre voci infinite, benche alcune si proferiscano con suono un poco piu aperto, come voy, doy. Il dittongo au delle voci latine si converte in o delle toscane et delle castigliane, come thesaurus, tesoro, thesoro, maurus, moro, moro, aurum, oro, oro, taurus, toro, toro, laudare, lodare, loàr, et in altre si ritiene, come auctor, autore, auctòr, ne si può dare di tutte si certa regola che non vi sia alcuna eccetione, la qual s'acquista con lo leggere lungo tempo et molti buoni autori. La o di alcune voci toscane si muta in queste due vocali ue(125) d'una sillaba sola o dittongo nelle castigliane, come posso, puedo, soglio, suelo, volta, buelve, fonte, fuente, ponte, puente, conto, cuento, conca, cuenca, corno, cuerno, corpo, cuerpo, corvo, cuervo, vola, buela, bonamente, buenamente, donno, dueño, forza, fuerza, forte, fuerte, foro, fuero, giovedi, giueves, longo, luengo, mola, muela, mostra, muestra, morto, muerto, nove, nueve, noce, nuez, nostro, nuestro, nostro, vuestro, popolo o populo, pueblo, porro, puerro, porta, puerta, posto, puesto, porto, puerto, sciolto, suelto, sonno, sueño, torto, tuerto. Uo parimente delle voci toscane si converte in ue delle castigliane, come ruota, rueda, buono, bueno, nuovo, nuevo, puote, puede, alcuna volta uo delle voci toscane si converte in o delle castigliane, come tuono, tronido, cuore, corazòn. Moltissime voci toscane finiscono in o, come cielo, regno, comando, perdono, questo, quello, subbito et parimente castigliane, come suegro, poderoso, merezco, esto, aquello, luego, con altre senza numero.

 

P

 

Non discordano queste due lingue nella pronuntia della p dovunque si ritrovi, però lascierò l'addurne gli essempi(126). Se dalle voci latine c'habbiano la p dinanzi la t, i toscani derivano le sue, convertono la p nella t seguente, come aptus, atto, proceptor, precettore, baptizare, battezare, baptismus, battesimo, septem, sette, raptus, ratto, ruptus, rotto, et quando dinanzi la p sta altra consonante, lasciano la p in tutto, promptus, pronto, sculptor, scultore, assumptus, assonto, sumptuosus, sontuoso, si raddoppia anco la p in voci composte, appartenere, apportare, appiccare, apparire, appetito, opportuno, approvare, apparecchiare, appuntare, supplicare et in voci semplici, doppio, seppe, scoppio. I castigliani nella scrittura, hora ritengono la p in dette voci, come escriptura, promptitùd, hora la lasciano, come siete, cativo, prontitùd, escritura, ma, o che vi sia o nò, non odo mai la p in luoghi simili pronuntiarsi ne ritruovo la p raddappiarsi ne in loro voci composte ne in altri luoghi, come apartamiento, aparadòr, apegàr, apelàr, apazible, apresurado, apuntàr, suplir, et se in alcun luogo la scrivono doppia, la pronuntiano per semplice. In questa lettera p non truovo alcuna voce terminarsi ne toscana ne castigliana.

 

Q

In queste due sillabe qua, quo è la pronuntia commune senza differenza, come quando, quatro, acquoso; non hò per hora essempio castigliano della sillaba quo, ma per quanto odo che la proferiscono in aquosus et quoniam voci latine, giudico che la pronuntiano al medesimo modo se la tengono nelle voci loro proprie. Molta differenza è in queste due sillabe que, qui, perciò che noi le pronuntiamo di maniera che cosi si sente in loro la u, come in queste altre qua et quo, et tanto si conosce la u in acquistare, conquista, quistionar, Quirino, Quintino, questo, questa, querela, quanto in quaranta, quasi, acquoso, ma castigliani se ne servono in altro uso, et è che come noi diciamo che, chi, in turchi, pochi, franceschi, tedeschi, maliscalchi, tronchi, dimestichezza, acciò che, chetamente, amichevole, duchessa, marchesana, cosi dicono quelli que, qui in mezquino, mezquinidàd, quiça, quien, quinze, quitàr, duquesa, marquesa, quebràr, quemàr, querella, quexa, quedàr, et benche proferiscano queste sillabe que, qui, come noi che, chi, nientedimeno dinanzi la q non hanno la c in alcuna voce come habbiamo noi dinanzi che, chi, come apparecchiare, ricchi, pecchi, fiacchi, scocchi, tacchi, sacchi, fiacche, secche, racchetare, acquisto, tacqui, giacqui, piacqui, nacqui, acque. Voce veruna non truovo da queste due lingue in q terminarsi.

 

R

La r si pronuntia da castigliani con molta vehementia, et tanto sono amici di questa lettera, che alcuni dopo una consonante la raddoppiano, come honrra, honrrado, il che si fugge da toscani, et come la raddoppiamo noi in arrivare, arrestare, arrossire, corrompere, corrispondere, arricciare, arrecare, sorridere, irrationale, torre, carro, corre, errore, serra, la raddoppiano quelli ancora in arraygàr, arrancàr, arrastràr, arrepentirse, arrodillàr, derramàr, derribàr, tierra, destierro, socorrèr, borràr et mille altre.

Per accorciamento si terminano molte voci toscane in r, come se veleno havesser preso(127), le lor case(128), lor brigata(129), di questi fur pochi(130), festeggiar compagnevole(131), quali fosser piu(132), lasciare star quella parte(133), lor tener compagnia(134), m'ha si bene il mio creator aiutato(135), volentier prese la chiave(136), il cercar d'amar donna(137), esser pagato, pensier cattivo, dolser gli forte queste parole(138)(139). I nomi del maschio nel numero del meno si terminano spesso volte in r per accorciamento, come primier, signor, per primiero, signore, in quello del piu rade volte et in versi, come signor per signori. La a non si toglie alla femina dopo(140) la r, et però non si dice primier per primiera, anchor che si truovi leggier cosa(141). Quando dinanzi la r sta altra consonante, non si può(142) perdere la vocale del fine, maestro, silvestro, magro, pigro, lugubre, nell'infinito torre si può perdere tutta la sillaba re, dicendosi tor per torre. Terminano i castigliani glinfiniti in r naturalmente, come amàr, leèr, oỳr, et molti nomi, et massimamente quelli che si terminano da noi in re, come servidore, servidòr, tutore, tutòr, procuratore, procuradòr, predicatore, predicadòr et altre voci, come loòr, sabòr, pòr.

 

S

Lasciata da parte la pronuntia di s quale è d'un medesimo modo a castigliani et a noi, dirò che si come è proprio de' castigliani il preporre la e alle voci che cominciano per s seguendo altra consonante(143), del che fu(144) detto nella lettera e, cosi è propio a toscani aggiungere la i alle voci che cominciano parimente per s, seguendo altra consonante, ma questo accade quando la voce precedente finisce in consonante, il che aviene alla n, r, t, cosi con istudio, con isconcio parlare, con iscrittura, in iscrittura, in istratio, in iscientia, per istratio, per istratiarlo, per ischifilta, per isciagura, per istrettezza, per ispatio, per ispetiali, per ischernire, per isposa, per isguardi, et istentare. Et la e che naturalmente precede la s con altra consonante appresso si muta in simil caso in i, come con istima, et isprimere, in istima. Non dico già(145) che non si truovi altrimente ancora, non dimeno questa è regola commune. Le voci toscane composte da trans, hora perdono la n sola, hora la n et la s di trans, come trasformare, trascorrere trasportare, trasporre, traffigere, trascuragine, traboccare, trapassare. Dicono i castigliani traspasàr, trasponèr, trasladàr. In molte delle nostre voci si raddoppia la s, come assicurare, assolvere, assistere, assentire, assaltare, assalire, dissimulare, dissimile, dissipare, dissoluto, messa, esso, posso, passione possessione, et nelle castigliane ancora, dessabrido, dessemejar, assaetàr, assonàr, assombràr, assecuràr, tutta volta non mi pare che pronuntiano la s doppia con quella vehementia che da noi si suole proferire. A molte voci aggiungendosi(146) la s si fanno altre contrarie di significato, come scostumato, smemorato, spuntare. In smorto si muta la significatione et in spaventare. Finiscono in s molte voci castigliane, come très, menos, antes, Socrates, Achilles, Martes, et molte che noi terminiamo in se si terminano da loro in es, come francese, francès, milanese, milanès, cremonese, cremonès, aragonese, aragonès.

 

T

Non vi è differentia alcuna in queste lingue quanto alle pronuntia della t, la quale precedendo la i quando segue altra vocale non ha mai suono di z nelle voci castigliane, come dissi di sopra accascare nelle nostre voci patientia, conditione, negligentia et in altre di simil(147) sorte, per che a questo effetto usano la c, come dissi a suo luogo. Quanto poi alla pronuntia della t quando non ha suono di z, l'una et l'altra lingua tiene conforme pronuntia, come appare in molte voci nostre, altiero, forestiero, mestiere, intiero, quistione, volentieri, contiene, stij, stiamo, te, nelle loro tio, tia, tierra, tiempo, sitio, estio, hastio, resistiò. Il raddoppiare la t, che è frequentissimo appresso di noi in attendere, motteggiare, attratto, ottenere, attenere, attribuire, attempo, attraversare, dispetto, sospetto, non vedo che si costumi in atormentàr, atribuỳr, trata, permite, batalla, atento, atravessàr, voci castigliane, et se alcuno alle volte le raddoppia con lo scrivere, non le proferisce se non con suono di t semplice. Finiscono alcune voci castigliane in t, come nolit et sanct quando seguita il nome del santo, come sanct Pablo, sanct Phelipe, in altra maniera si scrive sancto come varòn sancto. Ma quanto alla pronuntia, si dice sempre come se si scrivesse san senza ct, eccetto quando segue nome di santo che cominci per vocale come sanct Andrès.

 

(U)V(148)

La [u]v cosi consonante come vocale si pronuntia senza differentia dall'una et da laltra(149) lingua. Componendosi con ad o con ob la voce che comincia per v, si gitta la d et la b, come avisare, oviare, avicinare, avedersi, benche alcuni non vogliano che la d et la b si togliano in tutto, ma che siano convertite in v, et cosi scrivono le dette voci, et altre simili, con due vv, come avvisare, ovviare, avvicinare. Habbiamo noi molte dittioni dove le due vocali uo come dittongo sono solamente d'una sillaba per piu pienezza et(150) per differenza, come suono, tuono, duolo, stuolo, nuovo, luogo, fuogo, cuoco, giuoco, figliuolo, chiuodo, pruovo, truovo, nuora, fuora, vuoi, vuole, alla cui similitudine tengono castigliani üe vocali come dittongo d'una sola sillaba in moltissime voci, come puedo, puerta, cuerpo, fuego, luego, iuego, ruedo, ruego, suelo, consuelo, duelo, espuela, muela, fuerte, fuero, aguero, prueva. In u finiscono le voci toscane Giesù, tu, su, giù, virtù et castigliane tù, espiritu, Perù.

 

X

Si truova nelle voci toscane la x, come ex proposito, exaudire, exaltare, exemplo et molte altre; non dimeno secondo l'uso più moderno(153), pare che la x si sia in tutto lasciata, la quale havendo dopo se consonante si muta in una s sola, come expertus, esperto, exterior, esteriore, et in c seguendo la c, come excelsus, eccelso, excellens, eccellente, excedit, eccede da excipio, eccetto, et seguendo vocale si muta in due ss, exilium, essilio, exaspero, essasperare, Alexander, Alessandro, exaudire, essaudire. Nel principio della voce si muta in una s, xantus, santo, Xerse, Serse, il che non piace ad alcuni, volendo che si dica Xerse, xanto, pur mi rimetto al più sano giudicio.

I castigliani hanno pronuntia a noi insolita attorno questa lettera x, percio che come noi pronuntiamo(155) scia, sce, sci, scio, sciu d'una sola sillaba in fascia, lascia, prescia, sciagura, conosce, pesce, cresce, pasce, scilocco, lasci, sciocco, fascio, asciutto, cosi da quelli si pronuntia xa, xe, xi, xo, xu in faxa, dexa, Alexandro, embexadòr, quexe, dexe, exe, exemplo, alexe, baxe, empuxo, enxugàr, et è vera questa regola quando la x si pone in principio della sillaba, cio è avanti la vocale, come negli essempi proposti. In fine della voce si proferisce la x come la sc nelle nostre uscito, poscia et somiglianti, et sono pochissime le voci che cosi finiscono, come relòx, bòx, carcàx. Nelle voci castigliane che vengono dal latino con la sillaba ex, si proferisce la x come facciamo noi con la pronuntia conforme alla x latina(156), come extremo, experimentàr, exaudìr, examinàr. Nella voce fenix la x si proferisce per s, come se fosse scritto fenis. Non hanno toscani(157) voce che si termini in x come s'è detto de castigliani.

 

Y

Della y greca non si servono toscani, per che occorrendo loro alcuna voce che l'habbia la convertono in i latina, come timo, timele et altre simili, ma castigliani l'hanno et la usano spessissime volte, come in ỳ, ya, yua, ỳr, yugo et altre molte, et accorgendomi io che si truovano molte dittioni con questa lettera y et molte con l'altra i picciola et i longa, son andato pensando qual regola si potesse trovare con la qual, se non di tutte, almeno della maggior parte si potesse haver notitia dove s'habbia da scrivere questa y greca, et finalmente, per quanto s'ha possuto estendere il mio ingegno, ho osservato che queste sillabe ay, ey, oy, uy tanto in principio quanto in mezo et infine delle parole si scrivono con y greca, cio è che seguendo la i dopo a, e, o, u ha(160) da essere y greca, come hay, haya, hayamos, pleyto, azeyte, creya, leya, ley, rey, creydo, leydo, soy, doy, voy, huỳr, destruỳr, muy, suyo, ruỳz, cuyo. Et questa mi par regola generale, ancor che si truovino altre voci con la y greca fuori di questa regola, come yà, yua, ỳr, yugo, voci sopradette con altre molte che nelli buoni autori si truovano.

 

Z

Della pronuntia nostra attorno la z quando tiene molta forza dicemmo di sopra, dove con essempi dimostrammo che quello istesso suono che riceve da noi la z in forza, zeppa, zingaro, zoppo, zucchero, riceve da castigliani in dança, çamorra, baço, garavanço, mediante la c con la zeriglia, ma la pronuntia che diamo ala z, di poco suono et di leggiero spirito, in azaria, zefiro, azimo, zodiaco, azurro, danno castigliani alla sua z in hazèr, azedia, azogue, azùl, et in tutte laltre voci loro c'habbiano la z. Non hanno castigliani voce alcuna dove si scrivano o si proferiscano due zz congiunte a questo modo, mattezza, sollazzare, allegrezze, pazzi, vezzoso, pozzuolo, mezzo per mitio, che mezo per medio si scrive con una(161) z come habbiamo(162) noi, il che dicono alcuni avenirci non per raddoppiare solamente la z come si raddoppiano l'altre lettere, per che cio non bisognarebbe essendo la z per se stessa doppia consonante, ma per far la pronuntia diversa et ancora, accioche la z habbia quello spirito di gravità il qual non ha in zefiro, zoilo et somiglianti, dove la z si pronuntia con leggier suono, ma questa opinione non mi piacque mai, per che vedo che altro suono tien la semplice(163) z in forza zitella, che in zefiro azimo, et nientedimeno non vi(164) è raddoppiata la z, onde mi risolvo a dire che in ciò non è altra ragione che l'uso commune nel qual, come disse ben Horatio Flacco, consiste l'arbitrio et la forza del parlare et dello scrivere bene.


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